Buongiorno Aureliano

5. Incontro


“Un dos tres, un pasito pa’lante Maria, un dos tres un pasito…nana”

“Mauriii’, la fai finita? È tutto il giorno che canti ‘sta canzone, non sai neanche le parole!”

“Lo so, è che la fanno ogni mezz’ora in radio, m’è entrata in testa!”

Una calda mattina di giugno, Maurizio palleggiava canticchiando davanti al Bar di suo padre, Alberto e Alessandro, seduti ad un tavolo poco distante, discutevano di Batistuta. Alessandro sosteneva che sarebbe andato al Barcellona in cambio di Dugarry e di almeno “venticinque miliardi!”, come aveva letto sulla gazzetta, mentre Alberto era certo che non avrebbe mai lasciato la Fiorentina.

“Sfida uno contro uno a biliardino?” propose Maurizio, già sudato dopo pochi palleggi.

“Dai!” disse Alessandro, “ci giochiamo una birra?”

“Alle dieci di mattina? Sei scemo?”

“No ragazzi, alle undici devo andare dal professore” disse Alberto, spegnendo, con quella frase, ogni minimo entusiasmo, se di entusiasmo si fosse potuto parlare a quell’ora. Anche Maurizio, con il pallone sottobraccio, andò a sedersi accanto a loro.

“Vabbè dai, ti hanno dato solo matematica, che ci vuole?” vedendo come gli altri lo guardavano Maurizio corresse il tiro:” nel senso che è una materia sola. E poi a settembre promuovono tutti”

“Sarà,” disse Alberto, “ma intanto mio padre non vuole che esca se non studio prima tutti i giorni. E poi devo andare dal professore, ma vi rendete conto? Quello è matto e non c’entra neanche niente con la matematica. Papà glielo ha chiesto solo perché è un cliente.”

“Sì,” confermò Alessandro, “viene anche da noi. Mi pare insegni Storia all’università, infatti è strano dia ripetizioni, i professori universitari guadagnano un sacco di soldi”

“Infatti credo lo faccia solo per fare un favore a papà”  

“Tu sempre ai soldi pensi” intervenne Maurizio, “per questo dici che El Bati va al Barcellona. Ma non tutti ragionano come te!”

E la conversazione tornò su temi più cari ai ragazzi: Batistuta, Baggio, l’ennesimo scudetto della Juve. Alberto diede una occhiata all’orologio che si intravedeva dietro al bancone e si alzò per andare. Passò a prendere il quaderno con la penna in negozio e si avviò.

Appena girato l’angolo un manifesto dell’ultimo referendum esortava: “CACCIATE LA CACCIA”. Alberto notò un lembo leggermente sollevato, ci infilò un dito e tirò. Una parte del manifesto venne via facilmente e sul muro rimase solo la parola “CACCIATE”. Pensò che in fondo quella era stata la volontà popolare, visto che a votare erano andati in pochi, troppo pochi a quanto dicevano in TV.

Lasciò cadere la parte staccata a terra poi si guardò intorno, con un po’ di sensi di colpa, per controllare se qualcuno lo avesse visto. Per fortuna sembrava di no. Sollevato si incamminò deciso verso la casa del professore, sull’altro lato della strada, poco distante dal negozio dei mobili.

La casa del professore era all’ultimo piano di un basso edificio. Suonò al citofono ed una voce metallica disse soltanto “terzo piano”.

Il professor Anselmo Della Quercia lo aspettava sulla porta di casa, gli sorrise dall’alto della sua statura, accentuata, se possibile, dalla postura leggermente ingobbita. Alberto riteneva che superasse i due metri o che comunque ci andasse vicino. Lo accolse con voce gentile, timida. Ripeteva le cose due volte. “Buongiorno, buongiorno” o “Accomodati, accomodati; prego, prego”.

Fece strada fino ad uno studio. Le pareti erano ricoperte di libri e una enorme scrivania, piena di carte e ancora altri libri impilati, divideva in due la stanza. Indicò ad Alberto una sedia imbottita, sulla quale il ragazzo sedette, quindi prese posto dall’altro lato. Dalla finestra spalancata entrava una luce intensa ma morbida, filtrata da una tendina bianca, leggera. Quella luce rendeva tutto stranamente accogliente; un raggio di sole si era insinuato tra le pieghe della tendina, lo sguardo di Alberto si perse per un attimo ad osservare il pulviscolo che vorticava lungo quel fascio di luce.

“Matematica” disse il professore, richiamando così la sua attenzione. Lo guardava pensieroso, lisciandosi la barba con le dita, “Matematica” ripeté dopo una decina di secondi.

Alberto accennò un sì con la testa. Tolto un buongiorno appena sussurrato, non aveva ancora aperto bocca.

“Io non ricordo quasi nulla di matematica, però se vuoi la ripassiamo insieme, ho dato un’occhiata al tuo programma e mi sembra abbastanza semplice”

Alberto si sentì sollevato, quell’approccio non sembrava male. Il professor Anselmo prese un libro dalla cima di una piccola pila e lo aprì sulle prime pagine. Doveva esserselo preparato prima che lui arrivasse. Erano le prime ripetizioni private che prendeva e si era immaginato senza scampo: un’ora di lezione senza potersi nascondere dietro il compagno davanti o distrarsi con qualche disegnino. Invece quel tipo, che per via di quella barba che ne incorniciava il mento, priva di baffi, lo faceva pensare ad un filosofo greco o qualcosa di simile, beh! Quel tipo sembrava addirittura interessante.

Era passata circa mezz’ora quando una voce da dietro la porta li interruppe.

“Papààà, ti vuole la mamma!”

Il professor Anselmo alzò lo sguardo con una espressione che poteva definirsi inorridita. “Ma sto facendo lezione, io non capisco come sia possibile” Disse piano ad Alberto, come a scusarsi di quello che per lui era a tutti gli effetti un sacrilegio. Alberto lo rassicurò, pensando che in fondo una pausa ci sarebbe stata anche bene.

Il professore si alzò ed uscì, un istante dopo entrò la ragazza.

“Tranquillo me ne vado subito, mi serve soltanto un accendino. Ovviamente tu non hai visto niente, chiaro?”

“Chiaro”

Cercò un po’ in giro e infine trovò quello che cercava. Lo guardò ancora una volta

“E mi raccomando altrimenti racconto a mio padre che hai strappato il manifesto, ti ho visto dal terrazzo!”

Alberto non fece una grinza. Non parlò.

“Sembri un tipo sereno di dentro tu, come i pesci e gli uccelli” aggiunse ancora lei dirigendosi verso la porta

Alberto aggrottò le sopracciglia assumendo un’aria interrogativa poi improvvisamente si illuminò e sorrise.

“Guccini!” disse.

Lei si fermò all’istante e lo guardò incredula. Stava per dire qualcosa quando il professore rientrò

“Cleopatra, tua madre mi ha detto che non mi ha cercato”

“Scusa papà, mi era sembrato.”

“E che ci fai tu…” ma la ragazza era già sparita, il professore rinunciò alla domanda e si scusò ancora con Alberto.

Era carina, stava pensando lui, e, a quanto pareva, amava Guccini, visto che aveva citato il testo di una sua canzone. E che nome: Cleopatra. Era sicuro lo avesse scelto suo padre, o magari sua madre era matta quanto lui, vai a capire. Gli ci volle un po’ per riconcentrarsi sui numeri ma alla fine ci riuscì e il resto della lezione scorse veloce.

“Bene,” concluse il professore. “Non te la cavi affatto male, quindi si tratta soltanto di un difetto di costanza nello studio”. Gli assegnò qualche esercizio con la raccomandazione di farne almeno uno al giorno, e gli diede appuntamento alla settimana successiva.

Qualche minuto dopo Alberto uscì dal portone dell’edificio e si incamminò verso il forno.

“Ehi, Sereno! Aspettami”

Riconobbe subito la voce, si voltò verso di lei che con due passi veloci lo raggiunse.

“Devo andare a prendere un cosa per mia madre, facciamo la strada insieme”

Lui annuì e riprese a camminare, poi vedendo che lei non diceva nulla:

“Comunque mi chiamo Alberto, tu invece hai un nome originale, molto bello”

“Sì, ma chiamami Cleo, solo mio padre mi chiama così. Invece tu come lo conosci Guccini?”

“Che vuol dire come lo conosco, è il mio preferito, ho tutti i suoi dischi. Vabbè, quasi!”

“Non credevo che in questo buco di paese ci potesse essere qualcuno a cui piacesse Guccini. Comunque, stavo sentendo quella canzone poco prima di entrare, solitamente non parlo con le frasi delle canzoni” si giustificò lei. “E’ che tu te ne stavi così tranquillo a guardarmi.” Rise.

Fecero il resto della strada in silenzio, qualche domanda di lei, risposte brevi di lui. Poi, davanti al forno Alberto si fermò e lei, inaspettatamente, lo salutò con un bacio sulla guancia.

“Magari qualche pomeriggio scendo e chiacchieriamo un po’, se sei da queste parti”

Alberto alzò le spalle non curante, e cercò di apparire più naturale possibile quando rispose: “se vuoi…”

E per il resto di quella giornata e dei giorni successivi non fece che pensare a lei