Buongiorno Aureliano

Letteratura italiana Appunti semiseri di studio 1. Le origini

appunti di studio della letteratura italiana
Foto di congerdesign da Pixabay

La letteratura italiana nasce nei primi decenni del 1200, quando compaiono i primi testi in lingua volgare, ossia nella lingua parlata dal vulgus, dal popolo.

Cosa c’era prima di allora?

  • il latino dei testi classici, che il Medioevo aveva in parte conservato
  • la produzione della cultura medievale, sempre in latino
  • la produzione nelle lingue d’oc e d’oil in Francia.

Oc, nella Francia del sud e oil nel centro nord (divenuto poi oui) erano i modi per dire “sì” nelle lingue parlate allora. Dante, nella Commedia, dirà poi “il Bel paese dove il sì suona” per riferirsi alla nascente lingua italiana.

Frase ripresa anche da Caparezza nel brano Goodbye Malinconia: “E pensare che per Dante questo era il bel paese là dove ′l sì sona”.

Ma dovevamo parlare di letteratura italiana, quindi non usciamo dal tema, e mettiamoci in testa che, per quanto ci possano stare antipatici i francesi, per capire qualcosa sulle prime produzioni in volgare italiano, dobbiamo dare un’occhiata a quello che girava all’epoca da quelle parti.

Il contesto: L’Europa del Medioevo

L’Europa del medioevo, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la mancanza di un potere centrale forte, è leggermente, per dire così, frammentata. Le differenze culturali e linguistiche si accentuano sempre di più e l’unico fattore unificante è la Chiesa.

Il popolo parla varianti di latino fortemente influenzate dalle lingue locali prima e dalle lingue dei popoli invasori poi, arabi e germani.  Ed infatti sono numerose le parole di origine araba rimaste nella nostra lingua ancora oggi, a titolo di esempio possiamo citare: algebra, cifra, zero, ammiraglio, dogana, Kebabbaro… ma quest’ultima è di epoca più recente e ci porta fuori strada. Rimaniamo sull’argomento.

Da queste varianti di latino avranno origine le nostre lingue, le cosiddette lingue romanze o neolatine (Italiano, francese, provenzale, spagnolo, catalano, portoghese, romeno), che si svilupperanno parallelamente ai volgari germanici e slavi.

Per quanto riguarda lo scrivere però, quello si continuava a fare, e poco, soltanto in latino. A farlo erano gli intellettuali dell’epoca: chierici in primo luogo.

letteratura italiana il bestiario
“Il Leopardo” dal bestiario duecentesco di Rochester

Si scrivevano agiografie : in pratica le allegre vite dei santi, infarcite di miracoli;

inni liturgici;

opere teologiche (e dai);

bestiari, sorta di enciclopedie con descrizioni improbabili di animali spesso fantastici, fondati su una visione religiosa, tanto per cambiare, e simbolica;

cronache storiografiche;

ma, finalmente, anche poesie goliardiche, spesso in contrapposizione con la visione ascetica religiosa.

Al popolo, che difficilmente sapeva leggere, si parlava per immagini: incisioni, sculture, bassorilievi, brevi iscrizioni che servivano a divulgare (ancora il vulgus), più che altro, la parola di Dio.

 Per diffondere una cultura diversa tra il popolo dobbiamo aspettare i giullari, sempre un passo avanti anche allora! Nel basso medioevo, cioè dopo il mille, più o meno, erano loro ad andare in giro a raccontare storie in volgare, nelle corti e nelle piazze. Storie che vedremo più avanti, ispirate agli ideali cavallereschi, espressione di una classe che acquista sempre più rilievo nella società.

Ma stiamo andando oltre. Facciamo un passo indietro; cosa abbiamo a testimonianza di questa transizione dal latino al volgare?  

Una lingua di transizione

In Italia la prima traccia di una lingua di transizione si scopre a Verona nel 1924 ed è un indovinello.

letteratura italiana. l'indovinello veronese
l’indovinello veronese

Un indovinello che risale alla fine dell’VIII secolo, scritto in una lingua che non è ancora volgare ma che non può dirsi esattamente latino: mancanza di lettere finali nelle desinenze, “u” trasformate in “o”.  

Mi domando cosa penseranno i linguisti del Quattromila  quando si imbatteranno in un post di facebook dei nostri giorni pieno di h messe a caso.

Di oltre un secolo dopo, invece, è il cosiddetto Placito capuano, 960. Negli atti di un processo vengono riportate le parole di una testimonianza resa in volgare. Non è più una questione di “h” messe a caso, ormai di latino c’è rimasto ben poco:

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.»

Certo, magari avevano qualche difficoltà con il ch, ma già che non scrivevano “X” invece di “per”, direi non sia una cosa da poco.

Per la letteratura italiana c’è ancora da aspettare. La prossima volta vedremo meglio cosa si scriveva in Francia e come quelle storie abbiano influenzato le nostre prime produzioni.