Buongiorno Aureliano

2. Margherita

A far infuriare Margherita non era tanto il suono del cellulare, uno di quei simpatici motivetti che quando imposti per la prima volta la sveglia pensi: “sì, metto questo che è carino”, e che dopo pochi giorni odi con tutta te stessa. A farla infuriare era la maledetta vibrazione, quel rumore sordo di sottofondo, insistente, che ti immagini che il cellulare cammini sul comodino e, temendo cada a terra, sei costretta ad aprire gli occhi e a spegnere la sveglia.

Spegnerla? Posticiparla! Così gli occhi puoi richiuderli altri cinque minuti.

Alla terza  aveva riacquistato abbastanza lucidità da ricordarsi che doveva anticipare di un ora il suo turno. Si alzò velocemente e si tuffò nel bagno.

Le girava un po’ la testa, non avrebbe saputo dire se per il vino della sera prima o per essersi alzata troppo velocemente dal letto. Qualche volta le accadeva e allora doveva fare i conti con la sua età. A volte dimenticava di aver superato i cinquanta. Si guardò allo specchio, non era male, tutto sommato, un po’ appesantita forse. Si lisciò un fianco pensando che doveva assolutamente buttare giù qualche chilo. Dopo la doccia tornò in camera e di nuovo davanti allo specchio tolse l’asciugamano e lo gettò sul letto.

“Sono ingrassata vero? Guarda i fianchi, e la pancia. Oggi non mangio, giuro”.

“Non ce la farò a stare lì alle sei, Kmer va a prendere un suo parente che è arrivato dall’Egitto, se non ho capito male deve avere più o meno l’età di Andrea.”

Prese dal cassetto un paio di mutandine pulite e poi si mise a rovistare tra i vestiti lanciati sulla sedia la sera prima a caccia del reggiseno.

“Lo so, c’è disordine, oggi pomeriggio riordino tutto promesso! Sempre se faccio in tempo perché ho promesso ad Andrea di andare a riprenderlo a scuola e fare un giro prima di tornare a Borgovecchio.”

Finì di abbottonare la camicetta poi prese la foto di Daniele sul comò e le diede un bacio.

“Ciao amore, a dopo”.

Ripose con delicatezza la foto e si mise a raddrizzare i piccoli oggetti che ormai da quindici anni erano lì, come lasciati distrattamente la sera prima, in attesa di essere ripresi al mattino: l’orologio, un portadocumenti, una foto di Andrea di quando aveva pochi mesi, e le loro fedi.

Margherita aveva ormai superato il tempo in cui cercava di giudicarsi, il tempo in cui si vergognava di sé stessa trovando tutto così melodrammatico, quasi da sfiorare il ridicolo. Era passato il tempo in cui si nascondeva anche da Andrea, che tante volte l’aveva ascoltata e le aveva chiesto con chi parlasse. In qualche parte, nella sua testa, sapeva che Daniele non c’era più da tanto tempo ormai, e più che ad un fantasma le sembrava di rivolgersi ad un amico immaginario, come accade a tanti bambini. Anzi, poiché in realtà lei aveva sempre pensato che tali amici esistessero solo nei film o nei libri, si era ricreduta proprio quando aveva cominciato a parlare con il ricordo di Daniele. Ecco cos’era: soltanto un amico immaginario, non fosse stato per Andrea che ormai a diciassette anni gli somigliava in modo imbarazzante e per il ricordo straziante, che a volte l’assaliva, di quell’ultimo bacio distratto che le aveva dato prima di uscire di casa per l’ultima volta.

“Mamma stai uscendo?”

“Andrea, tu sei già sveglio? Bravo. Sì, devo essere al forno alle sei, corro. Guarda se c’è il latte in frigo e mi raccomando fai colazione prima di uscire”

Si salutarono poi lei si fermò un istante a guardarlo mentre spariva in cucina, si infilò un cappotto e scese in strada.

Mise in moto la vecchia auto che partì dopo un paio di tentativi e calcolò mentalmente se non avesse fatto prima a piedi, considerando il tempo perso per partire e quello che avrebbe perso per parcheggiare, ma non era certo il tipo da mettersi a correre per quasi un chilometro alle sei del mattino. Borgovecchio si svegliava in quell’istante. Qualche luce accesa alla finestra, una donna già affacciata a stendere una tovaglia, e due ragazzi con lo zaino ad attendere il primo autobus per la città.

Kmer, appena la vide entrare, cominciò immediatamente a slacciarsi il grembiule.

“Oh! Meno male che la signorina si è ricordata, almeno mio cusgino non viene rapito alla stazione e non rischia che qualche immigrato gli rubi la valisgia”.

“Cretino, sbrigati ad andare, ché se fai tardi poi dici che la colpa è la mia.”

Margherita infilò un largo grembiule bianco e si mise subito al lavoro, Kmer appese il suo ad un gancio e scappò di corsa. Lei sparì per un momento dalla porta che collegava la vendita al laboratorio e accese la radio dietro la cassa, il forte odore del pane appena sfornato le aveva fatto passare anche quel leggero senso di pesantezza che aveva in testa e cominciò a lavorare con la consueta energia.

Come accadeva ogni mattina il suo arrivo segnava la fine della notte e l’inizio del nuovo giorno. Chiese indicazioni con la sua voce squillante, e cominciò a fare avanti e indietro per riempire gli scaffali.  Alberto le chiese come fosse andata la serata.

“Lo rivedo domenica sera”, rispose lei, cosciente del fatto che lui avrebbe capito cosa significasse quella risposta: il lunedì è il giorno di chiusura del forno, quindi nessun limite di tempo ne’ di altro genere.

Gli raccontò brevemente la serata, gridando quando spariva dietro la porta: non era stata certo delle più esaltanti. Lui era un tipo simpatico, atletico, neanche troppo stupido. Alberto le chiese se pensasse di farla durare un po’ di più dei soliti due o tre mesi, ma già dal racconto aveva capito che non sarebbe andata così.

“Prima o poi lo trovo quello giusto, ne sono sicura.” Le disse lei con l’aria di non crederci troppo.

Alberto la guardò di traverso, trascinando delle grosse ceste vicino alla porta, pronte per essere caricate sul furgoncino.

“Margherita, lo sappiamo come andrà a finire vero? Che quando Andrea se ne andrà riempirai la casa di gatti!”

Lei rise di gusto, non era la prima volta che Alberto le faceva battute di quel genere ma sapeva che un fondo di verità c’era. Non per i gatti magari, ma per la possibilità non troppo remota che prima o poi sarebbe rimasta sola.

“Ascoltami, se proprio non dovessi trovare nessun altro mi sposo con te, che ne dici?”

“Nonostante io apprezzi questa bellissima e per niente offensiva dichiarazione di amore, sappi che sei troppo vecchia per me.”

“Vaffanculo”

Accese tutte le luci nel negozio, ormai era l’ora di aprire. Alberto uscì in strada e tirò su le due saracinesche, quindi partì per il solito breve giro di consegne.  Margherita, che per un’oretta sarebbe stata da sola con i primi clienti della giornata, si diede una sistemata al grembiule e aprì la porta a vetri che dava sulla piccola piazza.

Le prime anziane clienti cominciarono ad arrivare, sempre le stesse, in quell’ora del mattino, e che compravano sempre le stesse cose. Poi, tra una cliente e l’altra si rese conto di non aver preso neanche un caffè. Di solito a quell’ora Kmer attraversava la piazza, entrava da Cesare e tornava con un bel cappuccino schiumoso, oggi avrebbe dovuto attendere almeno l’arrivo di Valeria alle otto.

Guardò l’ora e se ne pentì, perché adesso il tempo sembrava non passare più, e fu soltanto per questo che la vista di Domenico non le fece alzare gli occhi al cielo come accadeva di solito.

Lui, quasi a scusarsi per l’insolito orario, le aveva detto un cauto buongiorno e si era affrettato ad aggiungere che doveva andare in tribunale per una faccenda di lavoro.

“Volevo soltanto prendere un po’ di pizza, sai se dovessi tardare… per pranzo.”

Lei lo guardò mostrandosi dispiaciuta

“Quindi vai di corsa? Perché avevo così voglia di prendere un cappuccino ma sono sola”

“No, ho tempo, te lo vado a prendere io” disse Domenico illuminandosi

“aspetta, i soldi.”

“ma sei matta?” Disse lui già sulla porta.

Margherita si sentì in colpa ma poi pensò che in fondo quella cosa lo avrebbe fatto sentire felice, almeno per qualche giorno. Ripensando a quello che le aveva detto Alberto poco prima provò a chiedersi, per un attimo, se Domenico potesse essere quello giusto, magari non subito. Poi le venne da ridere pensando che avrebbe preferito i gatti e si sentì di nuovo cattiva e senza cuore. Ma intanto un’altra cliente era entrata.

“Buongiorno signora Giudicissi, il solito sciapo?

1. L’ Antico Forno Clibani 3. La signora Giudicissi