Buongiorno Aureliano

3. La signora Giudicissi

La signora Angela Giudicissi prese il pane e si avviò alla cassa, aspettando che la commessa la raggiungesse. “Sono tre euro e cinquanta” le disse di nuovo, nonostante le avesse detto il prezzo un attimo prima, quando le aveva consegnato il sacchetto. Sembrò realizzare solo in quel momento, socchiuse un po’ gli occhi e scuotendo la testa, come a giustificarsi per la piccola distrazione, prese il portafogli e tirò fuori venti euro. La commessa esitò per un attimo, forse indecisa se chiederle delle monete, poi prese la banconota e le diede il resto.

In strada rimase per un attimo sul marciapiede, si aggiustò la borsetta sulla spalla e sospirò indignata, alzando poi lo sguardo per vedere se ci fosse stato qualcuno ad assistere a quella sua chiara manifestazione di dissenso. Nessuno. Non sapeva neanche bene per quale motivo l’avesse irritata così tanto quella mattina, forse per quella indecisione nel darle il resto, come se avesse preteso da lei che si fosse messa a contare delle monetine.

Poi lo vide uscire dal bar, il figlio della signora Roseo, e allora realizzò.

Non vedeva l’ora di raccontare tutto ad Anna durante la colazione. Perché un uomo così distinto, laureato, a quanto pareva, perdesse tempo con quella donna rimaneva per lei un mistero.

Aveva assistito, tempo prima, ad un loro incontro, al bar da Cesare, e involontariamente, perché lei lo sapeva benissimo che non era certo una cosa bella origliare, aveva ascoltato. Quei due parlavano così forte che era stato impossibile non farlo.

Lui le aveva offerto un caffè ed erano andati a sedersi proprio dietro di lei. Con quale tranquillità la donna lo rifiutava, Angela non si capacitava di tanta sfrontatezza. Per carità, non che dovesse per forza accettare il corteggiamento così evidente, ma allora non ti siedi nemmeno a prendere il caffè, si diceva.

Qualche minuto dopo lo raccontava ad Anna, mentre si avviavano alla sala parrocchiale, e lei le aveva ricordato il nome di lui: Domenico.

“Uh, sua madre, la signora Roseo, è disperata”

“E sì, tu sei molto amica con lei, no?” Le aveva detto con un tono quasi di rimprovero. Ed Anna aveva risposto, come se dovesse giustificarsi, che la conosceva da tanti anni e poi le fece notare che del resto ci si conosce tutti in un piccolo paese come Borgovecchio. Lei, con una leggera smorfia del labbro, stava per ribattere che un conto è conoscere, un altro è frequentare, ma poi pensò che anche lei, in fondo frequentava regolarmente Anna, non bisognava certo sentirsi superiori. Avevano continuato a sparlare un po’ di lei e di altre vecchie amiche.

Ora fremeva per raccontarle questo nuovo episodio. Un cagnolino ammaestrato, ecco cosa le era sembrato.

Suo marito Franco si era alzato da poco e trafficava con quel suo “tablet” che aveva voluto comprarsi per forza. Aveva provato anche a coinvolgerla ma lei non capiva cosa ci trovasse in quei giochini stupidi. L’unica volta che aveva provato interesse era stato quando aveva parlato con sua figlia in una video chiamata. Se avesse imparato ad usarlo forse avrebbe potuto vederla più spesso, visto che da Bologna ormai tornava giù solo per il Natale e qualche giorno l’estate. Ma dopo le prime volte anche quella novità aveva perso interesse. La sentiva tutti i giorni al telefono e le bastava vederla ogni tanto, e ci poteva pensare benissimo Franco a far funzionare quell’affare. Tanto nipotini da veder crescere non ne aveva!

“Hai fatto colazione?” gli chiese.

“No, aspettavo te” rispose lui posando il tablet sul tavolo.

“Ti preparo subito il caffè poi vado da Anna, tu non hai da fare stamattina?”

“Pensavo di fare colazione con te, poi esco per una passeggiata”
“Ti faccio compagnia, ma il caffè non lo prendo. Devi andare alla posta e controlla l’estratto conto, guarda se c’è il bonifico.”

Lui sospirò, poi si avvicinò e le accarezzò una spalla, riprese il tablet e si risedette in silenzio al tavolo della cucina, in attesa del suo caffè.

Come sarebbe finito quell’uomo se non ci fosse stata lei a spronarlo e ad indirizzarlo, pensava. Era troppo buono, ecco cos’era. Si fidava di tutti quando è talmente evidente che non puoi fidarti di nessuno al giorno d’oggi.

Caricò la moka, poi la avvitò leggermente e la passò al marito. “Non la stringere troppo, altrimenti non ce la faccio a riaprirla”. Glielo ripeteva ogni volta. Lui strinse un po’ e poi gliela ripassò. Angela accese il fornello e si sedette anche lei, in attesa.

“Sono passata a prendere il pane, c’era il figlio della signora Roseo, quello che dice che fa l’avvocato”

“Non è che dice, è un avvocato.”

“Ma tu lo dovevi vedere, altro che avvocato! Non puoi capire come parlava alla commessa, lo sai che lei se lo rigira come le pare, no? ‘Vorrei un cappuccino’ ha detto e lui subito, non l’ha fatta neanche finire che già era fuori. Un avvocato che perde il tempo dietro una donna di quel genere? Che razza di avvocato puoi essere, e poi come mai non ha trovato ancora nessuna? Sarà! Non mi ha mai convinto.”

Franco aveva lo sguardo fisso sul tablet e sfiorava lo schermo col dito, intento a scambiare di posto caramelle e cioccolatini colorati.

“Ma mi stai ascoltando? Non puoi lasciare quel coso per qualche minuto? Non possiamo neanche scambiare due parole”

“Ma sì, ti ascolto, ti ascolto. Lo sai che però non ti seguo quando fai questi discorsi” Poi fece un gesto stizzito, rivolto sempre a quanto avveniva sul display, e finalmente tornò a porre l’attenzione a sua moglie.

“Perché tu sei un ingenuo, quella si rigira tutti. Pure Alberto, che è un bravo ragazzo, che se non era per lui neanche più il pane ci andavo a comprare.”

In fondo non è che le importasse più di tanto di quella donna ma le dava fastidio che il marito la difendesse e non vedesse le cose più ovvie.

Il borbottio del caffè, che cominciava ad uscire, interruppe i suoi pensieri, prese una tazzina da sopra il lavandino e la posò sul tavolo.

Non c’era nulla da fare, con gli uomini. Anna sì che le avrebbe dato soddisfazione.

“Prenditi questo caffè adesso, poi mi raccomando di controllare l’estratto conto e se non c’è ancora il bonifico guarda che devi fare qualcosa. Non è che possiamo fare la beneficienza a tutti”

“Avevamo detto di avere un po’ di pazienza, in fondo sono sempre state persone precise.”

“Franco, non hanno ancora pagato l’affitto di luglio, sono due mesi che aspettiamo. Se oggi non c’è il bonifico ci vai a parlare”.

L’affitto di cui parlava era quello del piccolo negozio di alimentari “Da Giorgio”, proprio accanto al forno. Sopravvissuto all’apertura del centro commerciale gli affari erano andati con il tempo calando ed era sempre meno la gente che ci si incontrava dentro. Poi il figlio di Giorgio aveva affiancato il padre e sembrava che le cose avessero cominciato a prendere un’altra piega. Anche Angela doveva ammettere di averci trovato cose molto buone, anche se un po’ care, forse. Poi, quella primavera, avevano ristrutturato i locali, l’”alimentari da Giorgio” era diventato “Raffinatezze” e aveva cambiato aspetto. Ma evidentemente tutto questo non aveva portato i frutti sperati e così erano cominciati i ritardi nel pagamento dell’affitto.

Franco si alzò dalla sedia con una piccola smorfia di dolore, la tazzina vuota nella mano. Lei gliela sfilò e la mise nel lavandino

“Dai qui, ci penso io, vatti a preparare”

“Angela, ci possiamo permettere qualche mese di ritardo”

“Franco…”, provò ad interromperlo

“Ma se non c’è il bonifico ci vado a parlare, stai tranquilla”

Stava per aggiungere qualcosa ma poi sembrò soddisfatta di quanto aveva ottenuto, si disse che più di quello, da Franco, non poteva aspettarsi. Andò allo specchio, i capelli erano in ordine, guardò il cappotto sull’attaccapanni all’ingresso, pensando che non fosse così freddo e che per andare da Anna avrebbe dovuto soltanto attraversare la strada, ma poi ci ripensò. Lo aveva pagato così caro che se non lo avesse messo ora quando lo avrebbe messo? Non lo aveva certo preso per farlo ammuffire sull’attaccapanni.

Salutò suo marito dalla porta di casa e scese in strada.

Il direttore del Banco Popolare la salutò con un cenno rispettoso della testa. Lei rispose al saluto, ancora più contenta di avere indossato quel cappottino. “Loro sì che erano puntuali, nel pagare l’affitto” pensò. D’altra parte, era stata lei a decidere di affittare alla banca il vecchio mobilificio che ormai non faceva più gli incassi di un tempo ma che se fosse stato per Franco ci sarebbe morto dentro.

Anna abitava proprio al portone di fronte al suo, si preparò ad attraversare. Il furgoncino del “Forno Clibani” arrivava lentamente dal fondo della via, rallentò fino a fermarsi. Alberto le sorrise con cortesia e aspettò che attraversasse.

Caro ragazzo, pensò. Che peccato!