Buongiorno Aureliano

1. L’ Antico Forno Clibani

Il suono della radiosveglia non lo aveva colto di sorpresa, era solito aprire gli occhi un attimo prima che suonasse e quindi aveva tutto il tempo per alzarsi e spegnerla, prima ancora che partisse il fastidioso fruscio di una stazione male sintonizzata. Ci aveva provato, qualche volta, a centrare bene una stazione decente. Nulla da fare: alle tre del mattino l’altoparlante diffondeva sempre il solito fastidioso fruscio, intervallato, al più, da qualche parola incomprensibile spernacchiata da uno speaker dalla voce suadente. O almeno così la immaginava Alberto.

Le due e cinquantotto. Allungò il braccio e spostò la levetta su off, quindi si alzò ed entrò in bagno. Doveva ricomprare il rasoio elettrico o almeno una testina nuova. Magari nel pomeriggio avrebbe fatto un salto al Centro Commerciale. Fece una doccia veloce e passò in cucina. 

Chiuse la porta per non svegliare sua madre con il rumore della macchina del caffè. Era una di quelle macchine in cui infili delle capsule e schiacci un pulsante, l’avevano comprata lui e suo padre, almeno otto anni prima. Era l’unico modo per farsi un caffè decente alle tre del mattino senza dover combattere con la moka, con tutte le attenzioni che richiedeva il suo caricamento e la lunga attesa davanti al fornello. Suo padre aveva un po’ storto la bocca quando si era reso conto di quanto gli sarebbe costato ogni singolo caffè e Alberto lo aveva preso in giro per il suo “braccino corto”, come diceva sempre sua madre scherzando sulla sua presunta avarizia.

“Sono parsimonioso, non tirchio” protestava lui. “Uno tirchio avrebbe un sacco di soldi da parte, noi non abbiamo mai una lira, quindi…”.  

Bevve il caffè. Riaprì la porta della cucina e sbirciò da quella socchiusa della madre per accertarsi che ancora dormisse. Infilò un giaccone e uscì. 

Da casa al forno non impiegava che una decina di minuti a piedi. Lungo la strada un paio di gatti tentavano di aprire un sacchetto della differenziata. Sentendolo passare lo fissarono per un momento poi ripresero la loro attività di scassinatori, ignorandolo.  

L’autunno cominciava a farsi sentire, almeno a quell’ora, tirò su la lampo fin sotto al mento e continuò a camminare fino a sbucare sulla piccola piazzetta di Borgovecchio. L’insegna “Antico Forno Clibani” era ancora spenta ma la luce, che filtrava dalla porta a vetri bianchi e opachi del laboratorio, illuminava il marciapiedi e indicava che, come ogni notte, Kmer era già al lavoro.  

Amr Abdel Sayed era già avanti con le preparazioni ed ora con una spatola tagliava e intrecciava striscioline di pasta. Alberto lo salutò con un grugnito.  

Di solito il buongiorno a Kmer era la prima parola della giornata che pronunciava, con la voce ancora impastata, e non sempre veniva fuori qualcosa di comprensibile. 

“Mi hai detto buonsgiorno in arabo? Hai desciso di parlare la mia lingua?” Amr, per gli amici Kmer, parlava un buon italiano ma non riusciva a non trascinare le g e le c.  

Alberto sorrise. 

“Hai ragione, mi devo ancora svegliare bene, li hai fatti un paio di cornetti?” 

“Sì, appena usciti dal forno. Dormito bene? Tanto sc’è il negro che lavora, badrone” 

Lavorare con Kmer era sempre divertente. Persino il soprannome se l’era scelto da solo. Quando qualcuno gli chiedeva come si chiamasse lui rispondeva sempre: “Kmer, padre di Pdor”, poi, quando la situazione lo permetteva, proseguiva: “della tribù degli Pstar”.  Tutti ricordavano un famoso pezzo comico della tv e tutti reagivano almeno con un sorriso.  

Lo stesso Alberto, che non amava i soprannomi, aveva finito per chiamarlo così. Tranne in rare occasioni, di quelle che capitano soprattutto di notte, con il solo rumore dell’impastatrice in sottofondo, quando sentiva il bisogno di parlare con un amico. Allora in quei momenti lo chiamava col suo nome ed Amr capiva e smetteva di scherzare, almeno per un po’. 

Lavorarono in silenzio per una buona ora. 

“Albe’, hai pensato a quella cosa? Di mio cusgino”  

Sì, ci aveva pensato. Era da un po’ che dicevano di aver bisogno di un aiuto ma non era facile trovare un ragazzo disposto a lavorare di notte. D’altra parte, il lavoro aumentava e da soli sentivano di non farcela. Qualche volta li andava ad aiutare Margherita, che si occupava soprattutto della vendita, ma poi si ritrovavano in difficoltà durante il giorno, con il negozio. 

Un paio di settimane prima Amr aveva ricevuto una mail da suo cugino Hesham. Avevano trascorso insieme gli anni dell’adolescenza ed insieme erano diventati adulti. Poi a venti anni la decisione di Amr di partire e il netto rifiuto di  Hesham che non intendeva lasciare l’Egitto. Avevano discusso su cosa fosse stato più giusto: cercare fortuna altrove o rimanere a lottare. Avevano scelto due strade diverse ma ciò non aveva impedito loro di rimanere in contatto.  

Nella mail Hesham preannunciava ad Amr l’imminente visita di suo figlio in Italia. L’aveva detto come se si fosse trattato di un viaggio di piacere ma qualcosa nel tono della lettera, forse una insolita euforia che non era usuale in Hesham, non lo aveva convinto del tutto. Dopo quella prima mail si erano parlati anche in video e, nonostante le rassicurazioni, Amr non aveva cambiato parere. Aveva promesso ad Hesham che avrebbe accolto suo figlio Hami e si sarebbe occupato di lui, e lo disse con lo stesso tono esageratamente allegro e spensierato. Più tardi, ripensando all’intero incontro sul web, al breve cenno di saluto che il ragazzo aveva fatto alle spalle di suo padre, e allo sguardo che si erano scambiati lui ed Hesham al momento dei saluti, si era convinto di aver fatto capire a suo cugino che lui aveva compreso tutto, soprattutto le cose non dette. 

Così ne aveva parlato ad Alberto e visto il bisogno che avevano di trovare un aiuto, gli aveva proposto di fare una prova. In realtà ora non sapeva nemmeno più se Hami sarebbe stato d’accordo, e col passare dei giorni, sfumato un po’ il ricordo della chiacchierata, si domandava se non fosse stato tutto un equivoco e se per caso non si trattasse davvero solo di un viaggio di piacere. 

“Vediamo come va, se non piasce mandiamo via” disse. 

“Quando dovrebbe arrivare?” Domandò Alberto 

“Oh bello mio! Arriva stamattina, te lo ricordi che oggi alle sei ti lascio e vado a prenderlo alla stazione?” 

“ehm… no, non me lo ricordavo ma scusa alle sei…” 

“Alle sei viene Margherita ad aiutarti, arriva un’ora prima” 

“Hai ragione, hai ragione. È solo che non mi ricordavo fosse questa mattina. Non c’è problema” 

“Comunque, se per te va bene, domani sera può già iniziare a fare una prova. Lo porto con me.” 

Alberto ci pensò un po’ sopra, poi non trovando nulla che non andasse, rispose: 

“Ma certo. Perché no?” poi cambiando argomento, quasi volesse tagliare il discorso, aggiunse: 

“Fanne di più di integrali, rimaniamo sempre senza. Sembra stiano diventando tutti salutisti.” 

Amr in qualche modo capì che qualcosa disturbava Alberto, così riprese il suo lavoro con più concentrazione senza tornare sull’argomento. Almeno per un po’. 

“Alberto devi stare tranquillo, papà di Hani è cresciuto insieme a me ed io mi fido sciecamente di lui.  Se lui mi dice che Hani è un bravo ragazzo io gli credo” 

“Ma no, Amr. Non lo metto in dubbio. Ho un po’ paura per questa storia della prova, senza una qualche specie di contratto, non lo so. Se venisse un controllo proprio domani?” 

“Allora significa che ti sei beccato antica maledizione di Amenofi Secondo. Non abbiamo mai avuto un controllo da quando lavoro qui e dovrebbero venire proprio domani?”  

Alberto rise di nuovo.  

“Però hai rasgione, è inutile correre. Forse è meglio che io prima parli con lui. Forza con integrali, poi disce che arabi sono integralisti!” 

Alberto staccò una pallina dal suo impasto e la lanciò contro Kmer.  

Dalla piccola finestra sopra il lavello si cominciava ad intravedere un po’ di luce, ormai a breve sarebbe arrivata Margherita, poi c’era da fare il giro delle consegne, ed un’altra giornata sarebbe iniziata.