Buongiorno Aureliano

8. Questione di immagine

Il campanile di Borgovecchio suonava ancora mezzogiorno. Quando era soltanto un bambino Alessandro ci era salito spesso con Maurizio e con Don Antonio. Si vedeva tutta Borgovecchio e la valle circostante da lassù. Adesso le campane erano state sostituite da un potente impianto che suonava agli orari stabiliti e alla piazzetta il suono arrivava così potente che era impossibile da ignorare: un passante guardò l’orologio, poi verso il campanile, quasi indeciso a chi credere, un altro affrettò il passo, in ritardo verso chissà quale appuntamento.

Sulla porta di “Raffinatezze”, al primo dei rintocchi, il signor Franco Giudicissi, proprietario dei locali a cui Alessandro non pagava l’affitto da un paio di mesi, approfittò dell’interruzione per stringere la mano e salutare. Alessandro lo ringraziò e cercò di tranquillizzarlo:

“Benissimo allora, rimaniamo così. Oggi pomeriggio farò il bonifico”

Il signor Franco fece capire con un gesto che non c’era bisogno di aggiungere altro e si allontanò in direzione del forno, dal quale, proprio in quell’istante, uscivano Alberto con Amr ed un altro ragazzo.

All’ultimo dei rintocchi, tornato il silenzio, Alessandro avrebbe chiamato Alberto, aveva assoluta urgenza di parlare con lui, ma una voce alle sue spalle, lo distolse.

“Allora?”

“Ginevra.”

Con un paio di jeans e una felpa leggera, ma forse ancor più per i capelli sciolti, sua moglie sembrava poco più che una ragazzina. Ne rimase quasi colpito, abituato com’era a vederla per casa in una vecchia tuta grigia. Qualcosa, di quello stupore, trapelò dal suo sguardo.

“Perché quella faccia? Ho qualcosa di strano?” chiese lei.

Alessandro scosse la testa e tornò a guardare in direzione del forno.

“Dobbiamo fare il bonifico assolutamente questo pomeriggio” le disse. “Devo parlare con Alberto”.

“Scusami ma come facciamo se fai il bonifico? Rimaniamo senza un soldo…”

“Facciamo!” la interruppe lui, irritato. “Qualcosa facciamo, devi stare tranquilla e non mettermi ansia, prima di tutto”.

Vide Alberto stringere la mano del ragazzo, pensò fossero ai saluti e prima che potesse rientrare lo chiamò.

Alberto lo vide, e anche Amr. Si avvicinarono tutti e tre

“Buonsgiorno bella signora. Alessandro si è ispirato a te per scegliere il nome di negozio! Raffinatessa!”

Il solito Amr era bastato a sciogliere un po’ di tensione e a far sorridere Ginevra; si scambiarono i saluti, infine Amr presentò velocemente Hami e con lui andò via.

“Alberto, ho bisogno di parlarti”

“Si, quando vuoi tu.”

“Sediamoci un attimo” gli disse indicando i tavoli del bar. Alberto e Ginevra lo seguirono.

Maurizio, vedendoli, comparve sulla porta ma Alessandro lo fermò con un gesto e i tre sedettero su un tavolo appartato.

“Abbiamo già un accordo su questo, Ale. Mi paghi a fine mese. Ma se in questo momento hai difficoltà non devi preoccuparti per me. Lo sai.” Disse Alberto dopo avere ascoltato Alessandro elencare tutti i problemi che al momento lo angosciavano, non ultima la questione del bonifico ai Giudicissi.

“Grazie Alberto, ovviamente appena avrò la possibilità…”

“Senti non devi neanche dirlo. Va bene così.”

Ginevra per tutto il tempo era rimasta in silenzio, visibilmente in imbarazzo. Alberto se ne accorse e cercò di alleggerire un po’ l’atmosfera.

“Io prendo volentieri un altro caffè. Fatemi compagnia”, chiamò Maurizio poi si rivolse di nuovo ad Alessandro.

“Allora, spiegami bene come stanno andando le cose. È una difficoltà momentanea che pensi passerà in fretta? Come la vedi in generale?”

Alessandro prese un grosso respiro e rimase per un attimo sospeso, pensando in quale modo dovesse affrontare il discorso.

“Non va!” intervenne Ginevra

Alessandro la guardò con rabbia. Voleva contraddirla ma lei glielo impedì ripetendo ancora, guardando prima suo marito e poi Alberto:

“Non va, non va! Non abbiamo più un euro, e gli incassi non sono cresciuti per niente dallo scorso anno”

“Non è affatto così, gli incassi sono cresciuti. Non come credevo io ma sono cresciuti, ci vuole solo più tempo.”

Alberto cercò di riportarli alla calma, e per fortuna ad aiutarlo arrivò Maurizio con i caffè, che sorseggiarono in silenzio.

“La verità è che Ginevra è troppo negativa, è pessimista. Io sono sicuro che questa è la strada giusta.” Riprese Alessandro con più calma.

“Allora nel frattempo devo trovarmi un lavoro.” Dichiarò Ginevra.

Lui si alzò di scatto, facendo schizzare indietro con le gambe la sedia, la quale rischiò di cadere grattando i sanpietrini irregolari della piazza. Era chiaro che dietro la frase di Ginevra ci fossero già ore ed ore di discussioni.

“Abbiamo già fatto questo discorso, io torno dentro, non voglio lasciare mio padre da solo per troppo tempo.”

“Ecco bravo, torna dentro.” Disse Ginevra. Ma Alessandro non raccolse la provocazione, non voleva continuare a litigare, ormai aveva detto ad Alberto quello che aveva da dire e si allontanò senza neanche salutare.

Rientrò in negozio, a quell’ora i clienti erano rari. A breve sarebbe venuto qualcuno a farsi preparare panini per pranzo, poca roba. Girò dietro il bancone, disse a suo padre che poteva anche andare e dalla vetrina osservò Ginevra salutare Alberto e quindi dirigersi verso il negozio.

“Bell’ignorante che sei. Neanche hai salutato il tuo amico che ti ha appena assicurato il suo aiuto.” Disse lei, una volta entrata, abbassando il più possibile la voce, per non farsi udire da un solitario cliente che vagava tra gli scaffali e dalla madre di lui che, come sempre, sedeva dietro la cassa.

“Lo ringrazierò dopo. Meglio così che farlo assistere ad un’altra discussione.

Che abbiamo già fatto.

E che non dobbiamo certo riprendere ora”

Aggiungeva una frase ogni volta che sua moglie accennava a ribattere, indicò con gli occhi il cliente nella speranza che lei capisse e lasciasse cadere il discorso. Lei capì.

“Devo prendere delle cose per pranzo, prima che i ragazzi tornino da scuola” disse, continuando però a lanciare sguardi carichi di rabbia.

“Posso? Mi è concesso?”

Alessandro pensò fosse meglio non rispondere, già immaginava il suo rientro a casa e l’ennesima lite che avrebbero avuto. Lei prese delle cose dagli scaffali. Poi andò verso la cassa, a prendere delle buste e a salutare sua suocera.

La signora Matilde, che forse non si era accorta del clima teso, o forse fingeva, la salutò facendo qualche domanda di rito sui nipoti, alle quali Ginevra rispose un po’ freddamente prima di scappare via con la scusa dell’ora. Alessandro si dedicò al cliente.

Alberto lo raggiunse un’ora dopo, stava per chiudere ed era solo. Come era prevedibile gli avrebbe chiesto spiegazioni sul suo comportamento. Se lo aspettava, pur così diversi erano amici da sempre.

“Sei calmo adesso? C’è qualcosa che mi devi dire che non so?”

“Ma no, ti ho già detto tutto. Siamo nervosi, tutto qui, e sempre perché mancano i soldi”.

“Sei scattato in piedi quando ti ha detto del lavoro, che male ci sarebbe se lavorasse?”

“Albe’, ma tu te lo ricordi a chi pago l’affitto io? Lascia stare il signor Franco e pensa un attimo a sua moglie.”

“Non vedo cosa c’entri”

“Se Ginevra andasse a lavorare da un’altra parte tutti comincerebbero a pensare che le cose vanno male, e la vecchia befana si preoccuperebbe di farlo sapere a tutta Borgovecchio e dintorni”

Alberto non lo seguiva, glielo disse. Cercò di spiegarsi meglio.

“Ti ricordi la merceria di Giulio? Non li sentivi i clienti? Quando hanno capito che le cose non stavano andando bene hanno cominciato a parlarne male, a criticare, a paragonare quel buco ai negozi del centro commerciale.”

Alberto cominciava a capire il senso del suo discorso

“La maggior parte delle persone”, proseguì Alessandro, ”si lascia influenzare da queste cose, è proprio come se fosse una malattia contagiosa. Vedono che il negozio è in difficoltà? Lo abbandonano tutti. Altro che solidarietà. Cominci a svendere, comincia a mancarti la merce, e scendi sempre più nel baratro”

“Sì, forse quello che dici è anche un po’ vero, però il tuo negozio non è messo così male, anzi hai appena ristrutturato tutto”

“Stiamo a Borgovecchio Alberto! ‘Hai visto la moglie di Alessandro che si è messa a lavorare?’, ‘mi sa che se la passano male! Capirai hanno pure speso i soldi per risistemare il negozio…’. No Albe’, io già li sento!”

Anche per questa ragione aveva assicurato al signor Franco che quel pomeriggio avrebbe fatto il bonifico e che entro un paio di mesi, al massimo, si sarebbe messo di nuovo in pari. Le cose andavano magnificamente, anzi, si raccomandò di dire a sua moglie che aveva preso dei nuovi formaggi che lei avrebbe apprezzato senz’altro. L’immagine. Quella contava! E lui aveva in mente grandi cose.

Ma ormai era il momento di chiudere per il pranzo. Disse ad Alberto che avrebbero dovuto riprendere questo discorso con calma ed uscirono.

Poco lontano Margherita li salutò con la mano

“Devo correre a prendere Andrea, sono già in ritardo, finisci tu di chiudere?” disse ad Alberto. Lui rispose con il pollice alzato poi tutti e tre presero direzioni diverse.